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Clinica Neurochirurgica dell'Università di Firenze

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L'IDROCEFALO NORMOTESO

 

   I successi delle ricerca, della tecnologia e dello sviluppo sociale hanno determinato un aumento della vita media, conducendo il personale medico e paramedico ad affrontare i molteplici problemi legati alla gestione di un numero sempre crescente di soggetti affetti da patologie complesse, spesso in associazione e invalidanti. Tra queste un ruolo prioritario spetta alla demenza, in forte crescita nei paesi più sviluppati e di grande impatto per le sue ricadute economiche e sociali.

   La prevalenza della demenza nei paesi industrializzati oscilla intorno al 5% (3,4% – 6,7%) nei soggetti di età superiore ai 65 anni; questi tassi raddoppiano approssimativamente ogni 5 anni di età, almeno fra i 65 e gli 85 anni.

   Particolare attenzione viene oggigiorno rivolta alla malattia di Alzheimer e alla demenza vascolare, che sono le forme più comuni nei paesi industrializzati. Ciò ha portato  a considerare spesso la demenza come una patologia inesorabilmente progressiva ed irreversibile, trascurando quelle forme secondarie che, se diagnosticate correttamente, diventano suscettibili di trattamento.

   Tra queste, particolare attenzione merita l’idrocefalo normoteso (IN), la cui prevalenza nell’ambito delle demenze varia dal 2 al 10%.

  Nei pazienti con IN il trattamento chirurgico, se eseguito a breve distanza dalla comparsa dei primi sintomi, porta ad una regressione della sintomatologia in oltre il 50% dei casi; in tal modo i processi neurodegenerativi indotti dalla malattia vengono arrestati, evitando quindi l’evoluzione verso una forma irreversibile.

   A quasi 40 anni dalla prima descrizione dell’IN, la sua corretta diagnosi e ancor l’identificazione dei pazienti che con IN possono giovarsi di un trattamento chirurgico, rimangono difficili.

Cos’è

   L’idrocefalo normoteso è stato descritto per la prima volta da Hakim ed Adams nel 1965.

   Gli autori descrivevano una patologia in cui, alla dilatazione delle strutture ventricolari cerebrali evidenziata con pneumoencefalografia, si associava la triade clinica caratterizzata da disturbo cognitivo, alterazioni della marcia ed incontinenza urinaria. Tale sintomatologia regrediva sorprendentemente dopo la derivazione del liquido cefalo-rachidiano, malgrado che la pressione liquorale alla rachicentesi risultasse normale.

  La maggior parte degli autori oggigiorno concorda nel ritenere che la dilatazione ventricolare, oggi evidente agli esami TAC ed RMN, sia il risultato dell’accumulo liquorale  indotto da un alterato  riassorbimento. In un sistema chiuso, qual è considerato il cranio, l’ampliamento del sistema liquorale ed in particolar modo delle cavità ventricolari avviene a discapito delle componenti vascolari e parenchimali cerebrali. Gli aspetti clinici manifestati dai pazienti con IN sono  riconducibili allo stiramento ed alla compressione delle strutture periventricolari.

 

I diversi studi sulla Pressione Intracranica (PIC) hanno evidenziato che nel corso della giornata e prevalentemente durante la notte, i pazienti con IN manifestano incrementi  pressori di breve durata che non giustificano più il termine “Normoteso” formulato da Hakim e Adams. A tal proposito nel 1990 Bret e Chazal  hanno proposto di sostituire il termine di “idrocefalo normoteso” con quello di “idrocefalo cronico dell’adulto” più consono alla realtà clinica.

 

Classificazione etiopatogenetica

 

   Le modalità con cui si manifesta l’alterato riassorbimento non sono ancora ben chiare.

   Attualmente riconosciamo due varietà eziopatogenetiche di idrocefalo normoteso differenti per aspetti clinici, neuroradiologici e soprattutto prognostici: una forma idiopatica, presunta primitiva, che  si presenta tipicamente nella sesta-settima decade di vita e che rappresenta circa il 30% dei casi;  una forma secondaria ad altre patologie che  si manifestano a qualunque età (tabella)

   E’ dimostrato che l’idrocefalo normoteso secondario ha una prognosi  migliore, dopo l’intervento di derivazione, rispetto alla forma idiopatica. La differenza tra i due gruppi è tale che l’identificazione di un’eziologia precisa è riconosciuta come un parametro predittivo di outcome positivo postoperatorio, sufficiente per giustificare da sola la derivazione nella maggior parte dei casi.

   L’età media nella forma idiopatica è  più elevata:   71 anni contro 59 per le forme secondarie.

 

Emorragie meningee                                       Tabella

Meningiti

Sequele d’interventi intracranici

Traumatismi cranici

Tumori intracranici (3° ventricolo e fossa cranica posteriore)

Tumori intrarachidei

Stenosi dell’acquedotto di Silvio

Altre malformazioni dell’asse nervoso